Io che mi credevo

io che mi credevo
fatto per l’amore,
ho avuto un san valentino,
uno.

a diciassette anni,
sono corso
a comprare
un tenero
pupazzetto,
mentre lei teneva in serbo
i due vhs
di making
musicali.

era corsa
giù dalla scala
per trovare me
e il bacio esitante
di chi si è incontrato da poco.

io che mi vedevo
sposato e padre,
e pluridecorato,
ho avuto la cesura
che annichilisce,
ma è salva, forse,
l’illusione.

io che mi credevo
della fatta di ares,
che mi si era indurito l’uccello
per il passo della vergine armida,
ho avuto mute le mie labbra,
e chiuse le mie porte.

io che andavo predicando,
e chi lo dice
che siamo così soli,
ho sperimentato
la gogna incomunicabile,
e dico che nulla
di questo si ricorda.

ora, il privilegio
di una stanza di agi,
e lo spazio per comporre
di mattina presto.

io che mi credevo tanto,
ora mi dico poco:
tu conoscevi l’altro
che, nascosto,
sussurrava.

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